Sofferenza quando ci si lascia per la fine di una relazione

Sofferenza quando ci si lascia per la fine di una relazione

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daniele gregrio psicologo online

Autore
DOTT. DANIELE GREGORIO
Psicologo e Divulgatore scientifico.

Un interessante studio condotto dal professor Edward Smith della Columbia University (Kross et al., 2011) ha evidenziato come la sofferenza per la fine di una relazione stimoli le stesse aree cerebrali deputate alla percezione del dolore fisico.

Quando si soffre per la fine di una relazione, ci si trova ad affrontare una vera e propria esperienza di lutto. La frase “avere il cuore spezzato” genera un dolore psico-emotivo molto forte che può manifestarsi in modi diversi: sentiamo una sofferenza interna, nodo alla gola, dolore allo stomaco, un peso sul petto. Tuttavia, ad essere più specifici,  è il cervello l’organo da cui partono pensieri e sensazioni corporee spiacevoli. Quando veniamo lasciati o lasciamo (in questo secondo caso chi più chi meno), il nostro cervello risponde automaticamente producendo i sintomi sgradevoli sopracitati e molti altri.

SOFFERENZA EMOTIVA E DOLORE FISICO PER LA FINE DI UNA RELAZIONE

Lo abbiamo detto prima. La sofferenza quando ci si lascia per la fine di una relazione attiva le stesse aree del cervello di quando proviamo dolore fisico (nel dettaglio, l’insula anteriore e la corteccia cingolata anteriore). Non solo quando la relazione finisce. Queste stesse aree del cervello si attiverebbero anche quando, una volta che si è usciti da una relazione sentimentale, si rivede/risente l’ex partner. Una grande differenza tra questo dolore ed un dolore fisico è che quest’ultimo raramente mantiene livelli molto intensi per un periodo di tempo esteso. La sofferenza per amore può insinuarsi per giorni, settimane, mesi. Alcune volte non prosegue lungo le fasi di una fine di una relazione, ma si incaglia e si blocca.

RUMINAZIONE E RIMUGINIO

La mente tende ad utilizzare un approccio “pratico” a difficoltà emotive, almeno fintanto che non si perde e va alla deriva emotiva. Pertanto, al termine di una relazione, si tende ad esaminare ricordi e avvenimenti del passato che hanno portato fin li. Questo al fine di pensare e ripensare a ciò che non ha funzionato per individuarlo (ruminazione) o di proiettarsi nel futuro per recuperare o per trovare soluzioni per non rifare gli stessi errori (rimuginio). Detta così, non c’è nulla di sbagliato in queste due strategie. Il problema si innesca quando queste strategie diventano automatiche e intrusive. Questo avviene quando il pensiero è fine a se stesso e non porta ad un cambiamento spendibile. Da qui si strutturano circoli viziosi che acuiscono la sofferenza emotiva della persona.

PENSIERI INTRUSIVI CHE CI BLOCCANO

Quando una relazione finisce, la mente non accetta subito il cambiamento e si rischia di avere pensieri intrusivi del proprio ex partner. I trigger possono essere dei più vari: il messaggio del buon giorno assente, un’immagine mentale, un film, un ricordo, un odore. Ogni volta che accade, veniamo catapultati nel circolo pensiero-emozione che produce una sofferenza fisica. È come se perdessimo la persona amata ogni volta.

Dopo una rottura, è facile imbattersi in comportamenti disfunzionali che finiscono per ledere ancor più la nostra immagine ed autostima, come alimentare sentimenti di vergogna, di colpa. Non esiste un parametro temporale universale. Quello che possiamo fare è concederci il nostro tempo personale per elaborare la perdita e lavorare su se stessi, sull’accettazione e sulla propria immagine personale.

SOFFERENZA PER LA FINE DI UNA RELAZIONE: NON SCAPPARE DAL DOLORE

Abbiamo visto che la fine di una relazione comporta inevitabilmente un certo grado di sofferenza. Qualsiasi essere animale, inclusi noi, cerca come prima mandata di evitare la sofferenza. Anche chi usa autolesionismo preferisce un tipo di dolore fisico rispetto alla tolleranza di una sofferenza emotiva. Per quanto sia una reazione comune, lo sforzo di evitare ad ogni costo di soffrire può rivelarsi un’arma a doppio taglio. In primis, ci si confronta con la realtà e cioè che si sta già soffrendo. Questo porta a colpevolizzare maggiormente la persona sia perchè sta male sia perchè non riesce a non stare male. Il secondo problema nasce quando non si riesce a trovare una reazione unica e risolutiva. In questi casi la mente prova ad andare ai ripari in due modi: il primo è utilizzare forme ricorsive sedative o di sostituzione al malessere volte a ridurre la sofferenza (l’assunzione di cibo e alcol, l’attività fisica o l’uso di sostanze); l’altro è evitare situazioni legate all’ex-partner o a stimoli attivanti.

Ciò di cui la persona non è direttamente consapevole, tuttavia, è che perpetuare l’evitamento non solo non risolve il problema, ma la ingigantisce.