Ragazzo con gastrite nervosa psicosomatica

GASTRITE NERVOSA O PSICOSOMATICA: NON DIGERIRE LE EMOZIONI

Con il termine gastrite si intende, in sintesi, un problema infiammatorio che colpisce la mucosa dello stomaco. Questa infiammazione può essere più o meno grave e più o meno lunga fino a diventare anche cronica. Questo forte fastidio può essere causato da una diversità di cibi ma anche da una situazione di forte stress o ansia, in quel caso sarà una gastrite psicosomatica nervosa.

DAL CORPO AL SISTEMA NERVOSO: LA GASTRITE

Il fastidio tipico della gastrite viene spesso descritto da chi lo prova come un bruciore intenso, una fiamma che divampa a livello addominale. In effetti, l’aumento dell’acidità gastrica equivale a un meccanismo autoaggressivo.

Fin dai greci, per Platone ad esempio, il ventre era un “secondo cervello”, la sede dell’anima concupiscibile, quella assolutamente irrazionale, mossa solo da pulsioni, che l’anima razionale doveva tenere sotto controllo. Non ci era andato lontanissimo. A livello intestinale, infatti, sono presenti circa 500 milioni di neuroni che svolgono molteplici funzioni e stabiliscono una comunicazione diretta con il sistema nervoso centrale (SNC).

LA GASTRITE PSICOSOMATICA: CORPO ED EMOZIONI

Spesso, i sintomi che colpiscono lo stomaco potrebbero nascondere dei disagi psicologici o emotivi connessi ad ansia o stress. Questi disagi molte volte si trasformano in disturbi psicosomatici. La gastrite psicosomatica è una delle patologie psicosomatiche tra le più comuni. La gastrite psicosomatica non è causata da batteri o microrganismi esterni, ma appunto da problemi emotivi e di gestione dell’ansia che si manifestano a livello dello stomaco, infiammandone appunto la mucosa.

I SINTOMI DELLA GASTRITE NERVOSA O PSICOSOMATICA

I sintomi della gastrite psicosomatica possono insorgere sia in forma breve come nel caso delle gastriti acute sia in forma continua qualora la gastrite diventi cronica. Alcuni sintomi della gastrite nervosa possono essere:

  • Sensazione di pesantezza quasi che il cibo rimanga a lungo nello stomaco.
  • Mal di stomaco con forti dolori causati dall’infiammazione.
  • Acidità di stomaco, forse il sintomo più fastidioso della gastrite nervosa, con questa continua sensazione di bruciore che nei momenti di forte ansia può essere piuttosto spiacevole.
  • Nausea.

COME AFFRONTARE UN PROBLEMA PSICOSOMATICO

I rimedi per i disturbi allo stomaco provocati da stress e ansia sono diversi. Sicuramente per trattare un disagio del corpo è utile un trattamento sull’alimentazione e biomedico. Questi possono essere utili nel breve termine, ma a lungo termine è essenziale un approccio al problema, alla base. Per questo è utile seguire un percorso psicologico che abbia come obiettivo l’intervento su pensieri ed emozioni negativi o inespressi che si versano nel corpo.

Ragazza che sta male a causa di problemi psicosomatici

MALATTIE PSICOSOMATICHE: QUANDO LE EMOZIONI “DANNEGGIANO” IL CORPO

La psicosomatica è un termine ombrello che racchiude tutte le malattie psicosomatiche e relativi sintomi a cavallo tra il settore medico e quello psicologico. Indaga la relazione tra mente e corpo, tra il mondo emotivo, cognitivo ed il soma cioè il corpo.

Ma perché, le emozioni possono essere espresse tramite il corpo? Sì, certamente: ad esempio, la paura fa sudare freddo, la rabbia fa venire i bollori, l’amore fa tremare la voce o fa arrossare, l’ansia fa rallentare la salivazione, il disgusto fa venire la nausea. Si tratta chiaramente di piccoli esempi ma che mostrano come il corpo è strettamente connesso alle emozioni.

DALLA MENTE ALLE MALATTIE PSICOSOMATICHE

Immaginiamo una situazione tipica in cui potrebbe verificarsi un disturbo psicosomatico: un’emozione poco o mai espressa, come la rabbia o la frustrazione, non trovando elaborazioni, potrebbe accumularsi e, come una pentola a pressione, portare ad un sintomo organico come un mal testa ricorrente.

L’ambito della psicosomatica ha lo scopo di rilevare e comprendere gli effetti negativi che la psiche, la mente, produce sul corpo. I disturbi psicosomatici si possono considerare malattie vere e proprie che comportano danni a livello organico e che sono causate o aggravate da fattori emozionali. La somatizzazione è il processo alla base delle malattie psicosomatiche. É quel meccanismo che permette di trasformare i processi psichici in disagi fisici. In sintesi, i disturbi psicosomatici mostrano sintomi fisici che suggeriscono l’esistenza di un disturbo organico i cui sintomi non derivano né da una condizione medica generale né dagli effetti diretti di una sostanza, ma solo dalla presenza di un disagio psicologico.

La tara della componente psicologica viene valutata non solo seguendo l’iter che comporta l’esclusione cause strettamente organiche, ma cercando di cogliere lo stato d’animo, il momento di vita, le relazioni (familiari, di coppia, etc), la situazione lavorativa, la personalità, le condizioni fisiche della persona.

TIPOLOGIE DI SINTOMI SOMATICI

I sintomi psicosomatici si possono presentare a carico di tutti gli organi e apparati del corpo umano:

  • Nell’apparato gastrointestinale (gastrite psicosomatica, colite spastica psicosomatica, ulcera peptica).
  • Nell’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione essenziale).
  • Nell’apparato respiratorio (asma bronchiale, sindrome iperventilatoria).
  • Nell’apparato urogenitale (dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia, enuresi).
  • Nel sistema cutaneo (la psoriasi, l’acne, la dermatite psicosomatica, il prurito, l’orticaria, la secchezza della cute e delle mucose, la sudorazione profusa).
  • Nel sistema muscolo-scheletrico (la cefalea tensiva (o mal di testa), i crampi muscolari, la stanchezza cronica, il torcicollo, la fibromialgia, l’artrite, dolori al rachide, la cefalea nucale)

DA SINTOMI A DISTURBO PSICOSOMATICO

Si parla di disturbo psicosomatico quando uno o più sintomi somatici iniziano a creare, per diversi mesi, un disagio o a portare a cambiamenti della vita. A questa situazione si accompagnano generalmente:

  • Pensieri sproporzionati e continui sulla gravità dei propri sintomi.
  • Alta ansia per la salute o per i sintomi.
  • Tempo ed energie eccessive dedicati a questi sintomi o a preoccupazioni riguardanti la salute.

AFFRONTARE LE MALATTIE PSICOSOMATICHE: IL TRATTAMENTO

Proprio per il tipo di problema che le malattie psicosomatiche creano un intervento soltanto medico, seppur molto necessario per escludere problematiche serie, non può essere condizione necessaria e sufficiente in quanto non mette al centro la persona dando strumenti spendibili approfondendo le cause a monte del problema.

Nel trattamento io uso l’approccio cognitivo-comportamentale che vedo funzionare molto bene. Questo aiuta a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali reazioni, fisiche, emotive, cognitive e comportamentali che la persona ha in tali circostanze. La parte comportamentale si avvale anche di tecniche di rilassamento quali il training autogeno e il rilassamento muscolare progressivo. La parte cognitiva aiuta, invece, ad individuare e ristrutturare i pensieri ricorrenti, gli schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà, che sono concomitanti alle reazioni fisiche, emotive e comportamentali che creano disagio.

Depressione nascosta o mascherata: capire se l'altro è depresso

DEPRESSIONE MASCHERATA O NASCOSTA: COME CAPIRE SE LA PERSONA É DEPRESSA?

I disturbi dell’umore, in particolare la depressione, sono tra i frequenti nella popolazione e in chi riporta un disagio psicologico. La depressione è un problema di salute pubblica con alta prevalenza e che comporta importanti ricadute sul funzionamento sociale e personale. Esistono diverse forme di depressione tanto che spesso, molti professionisti, parlando di “continuum depressivo”.

Nell’immaginario comune la persona depressa non riesce a svolgere con costanza e regolarità le sue attività: è sempre triste o scoraggiata, non riesce a sorridere, è disperata ed apatica con uno stato di alterazione neurovegetativo. Tuttavia, queste caratteristiche non sono sempre visibili, non sempre si manifestano così, alla luce del sole. Alcune volte la persona le nasconde, vuoi per vergogna, per paura del giudizio. Tra le varie forme di questo disagio c’è anche la “depressione nascosta”.

LA DEPRESSIONE NASCOSTA O MASCHERATA

Con tale termine si indica quella forma di depressione che inizia a manifestarsi sul piano somatico. Si sperimentano sintomi fisici che compromettono il funzionamento individuale nelle attività e nella propria quotidianità. Le emozioni non vengono così frequentemente verbalizzate in senso pessimistico o depressivo.

Questo tipo di disturbo psicologico porta la persona ad affrontare i propri demoni interiori in un modo che non li rende chiaramente visibili. Sono persone a cui la malattia può essere stata diagnosticata o meno, persone che potrebbero aver nascosto la cosa anche agli amici più cari.

D’altro canto, dall’esterno, tendiamo a pensare che le difficoltà che una persona sperimenta siano sempre ben visibili, come un’ecchimosi sulla pelle. Ma molte di queste ferite psicologiche restano spesso celate agli occhi finché non si guarda più da vicino.

DIAGNOSTICARE LA DEPRESSIONE NASCOSTA

Per poter diagnosticare la depressione nascosta bisognerà escludere una serie di quadri clinici con cui è possibile confondersi.

I disturbi somatoformi, ad esempio, costituiscono un gruppo di disturbi con sintomi fisici nei quali o non esiste una patologia medica o l’intensità della sintomatologia è sproporzionata alla malattia presente. Nell’ipocondria, o ansia per la salute, altro esempio, il paziente è convinto di soffrire per una malattia fisica, a dispetto delle rassicurazioni che il medico gli ha fornito o nonostante i risultati di esami appositi.

Il disturbo di conversione si manifesta con sintomi neurologici quali difficoltà motorie, instabilità e vere e proprie paresi e/o paralisi senza che nessuna struttura neuromuscolare sia effettivamente danneggiata.

Una produzione volontaria o la simulazione di dolore per assumere il ruolo di malato può rientrare nei disturbi fittizi. La persona affetta da questo particolare disturbo ha una personalità patologica che lo porta a desiderare di ricevere continue cure mediche.

CARATTERISTCIHE “NASCOSTE” DELLA DEPRESSIONE

  • Possono fingere che vada sempre tutto bene, cosa assai rara nella vita delle persone. L’idea che i soggetti depressi abbiano sempre un’espressione cupa e triste e che questa venga poi verbalizzata non è corretta. Chi convive con questo disturbo può aver imparato ad alterare il suo stato d’animo apparente, riuscendo a sembrare una delle persone più “felici” che conosciamo. Spesso le persone affette da depressione cercano di mostrare solo gli aspetti positivi e più socievoli del loro comportamento, a prescindere da quello che stanno attraversando. Possono avere sentimenti di colpa che li porta a nascondere i propri sentimenti perché “non vogliono appesantire nessuno”.
  • Possono ricorrere a rimedi abituali. Esistono percorsi strutturati per le depressioni (psicoterapia, farmacoterapia). Tuttavia oltre a questi rimedi, per la propria sopravvivenza le persone testano delle abitudini nei propri stili di vita a cui poter ricorrere per affrontare il loro quotidiano stato mentale ed emotivo. Questi rimedi possono comprendere la musica, l’esercizio fisico, lunghe passeggiate, lunghe telefonate, qualsiasi cosa che sanno possa tappare un momento di difficoltà o disagio.
  • Possono essere dei veri professionisti ad inventare storie, belle e felice anche, ma può valere per tutto: dai tagli sulle braccia al motivo per cui hanno saltato la cena. Il ritiro sociale, l’umore depresso ed i diversi agiti compromettono la propria quotidianità. In questi casi, queste persone sanno cosa dire per evitare che l’attenzione altrui cada su queste evidenti manifestazioni di sofferenza. Spesso non vogliono riconoscere che stanno pian piano affondando, per questo sanno come nasconderlo.
  • Spesso vanno alla ricerca di uno scopo. Beh, tutti vogliono avere uno scopo nella vita. Vogliamo sapere che quello che facciamo un obiettivo. Vogliamo sapere che stiamo seguendo la giusta direzione. Chi nasconde una depressione ha la stessa spinta di ricerca ed in più cerca di mettere a tacere qualcosa dentro di sé che potrebbe volere qualcosa in più. Le sensazioni di inadeguatezza e di paura stanno lì. Chi soffre di depressione cerca sempre di “rimediare” a tutte le fragilità che porta dentro. Può cambiare direzione spesso, può avere l’obiettivo utopico del raggiungere la vera felicità, può volere sempre qualcosa di più anche se non se lo merita.
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DEPRESSIONE LIEVE E DEPRESSIONE GRAVE: QUALI SONO LE DIFFERENZE?

Normalmente sperimentiamo un’ampia gamma di emozioni ed umori: ci capita qualcosa di positivo sperimentiamo felicità, negativo sperimentiamo tristezza. Nulla di particolare. Quando il tono dell’umore è persistentemente basso indipendentemente da ciò che si vive, si parla di depressione. Le cause possono essere delle più disparate, ma anche una condizione di lutto, con il tempo, si attenua e viene risolta. Ma esiste una depressione lieve ed una depressione grave?

Ma come non esiste un unico essere umano non esiste una sola depressione. Un episodio depressivo maggiore presenta una serie di sintomi che devono durare almeno due settimane. Questi sintomi interessano i pensieri, il corpo, il comportamento e le emozioni provate. Il senso comune individua nel disturbo depressivo maggiore la “depressione grave”. Tra i vari altri disturbi dell’umore, il disturbo distimico viene descritto come la forma di depressione più leggera. La distimia si caratterizza per la presenza di sintomi meno gravi dei sintomi della depressione maggiore, ma non per questo poco invalidanti.

DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE

I sintomi della depressione maggiore vanno ad interferire nelle abitudini e nella percezione del proprio corpo della persona. Si sperimenta un persistente umore triste o irritabile, la qualità del sonno è scarsa, l’appetito aumenta o diminuisce di molto e le attività di movimento si riducono a vista d’occhio. Si perde la voglia di uscire, nell’interesse di attività che prima piaceva fare. Effetti a livello del pensiero sono presenti: difficoltà nella concentrazione, della memoria ma anche pensieri di morte. Si sperimentano sentimenti di colpa, di inutilità, mancanza di speranze e senso di vuoto.

DISTIMIA

Il disturbo distimico è un disturbo cronico caratterizzato dalla presenza di umore depresso ma in forma più leggera. Si manifesta allo stesso modo della depressione maggiore con sintomi simili. La presenza di umore depresso, cioè il sentirsi triste, giù di corda, il vedere tutto nero e la mancanza di interesse nelle attività, rimane un aspetto centrale del disturbo. Una grande differenza, però, la fa il fattore temporale: per il disturbo distimico è necessaria la presenza di umore depresso per la maggior parte del tempo per almeno due anni. Seppure i sintomi della distimia possono essere più attenuati rispetto alla depressione maggiore, una grande difficoltà, per terapeuta e paziente, è la cronicità del disturbo, la resistenza agli interventi terapeutici e la rassegnazione.

 

DEPRESSIONE LIEVE E DEPRESSIONE GRAVE: COSA LE DIFFERENZIA

Distimia e depressione maggiore condividono le caratteristiche salienti ed intrinseche del disturbo depressivo, come il tono dell’umore depresso. Una prima differenza è che mentre nella depressione maggiore vi è un molto più intenso ed evidente isolamento e ritiro sociale, nella distimia la persona, bene o male, riesce a portare avanti piccoli compiti, anche lavorativi. Inoltre nella distimia l’individuo si sente sempre lievemente e costantemente triste, come se vedesse tutto attraverso una lente opaca che si gli impedisce di godersi le cose, ma comunque le guarda. Un altro fattore è quello temporale: l’umore della persona distimica è depresso quasi ogni giorno per la maggior parte della giornata, per almeno 2 anni, durante i quali gli intervalli liberi dai sintomi non durano più di 2 mesi.

Attenzione. Poiché quello che una persona con distimia dura da così tanto tempo, potresti pensare che ha sempre fatto parte della tua vita. Ma se ti riconosci nei sintomi della distimia, consulta uno specialista perché la distimia non fa parte della tua vita.

SI! SI PUÓ SUPERARE E GUARIRE DALLA DEPRESSIONE

La depressione è un termine conosciuto. Forse. Questo perché ormai “ansia” e “depressione” sono termini che vengono usati anche in maniera impropria. Fatto sta, comunque, il disturbo depressivo è il disturbo penso più diffuso tra la popolazione generale (10-15%).

 

CONOSCIAMO BREVEMENTE LA DEPRESSIONE

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La Depressione è un termine che viene utilizzato per indicare la presenza di umore triste, senso di vuoto e di solitudine accompagnato da modificazioni del corpo e dalla presenza di pensieri negativi che incidono in modo significativo sul funzionamento della persona.

La depressione è caratterizzata da un umore basso, spento, emozioni di tristezza e vuoto, rabbia, pensieri di autosvalutazione e colpa, da una diminuzione di interesse e/o piacere per le attività quotidiane, diminuzione del desiderio sessuale, dell’energia, della qualità del sonno. Le persone depresse si sentono incapaci di fronteggiare le situazioni si ritengono inferiori agli altri. Nella depressione possono essere presenti anche pensieri di morte e ideazione/pianificazione suicidaria.

Una caratteristica subdola della depressione è che abbastanza spesso non ci accorgiamo chi intorno a noi, amici, parenti può star male per questo disturbo. Talvolta neanche la persona stessa riesce ad accorgersene in anticipo nonostante lei li viva. C’è chi tende ad attribuire i sintomi a normale stanchezza, stress, nervosismo o problemi passeggeri su lavoro, in famiglia o di coppia. 

Tutti i sintomi della depressione possono manifestarsi in modo acuto o improvviso, che magari tendono a scomparire da sole, oppure in modo continuo e cronico, anche se in forma leggera, con alcuni improvvisi momenti di peggioramento. Infatti di depressione non ce n’è solo una ed unica, ma a seconda della sintomatologia esistono diverse depressioni.

 

COME POTER AFFRONTARE LA DEPRESSIONE E GUARIRE: IL TRATTAMENTO

Gli obiettivi della terapia e della mia terapia psicologica per affrontare e guarire dalla depressione sono due: modificare pensieri negativi, credenze fisse false e circoli viziosi che possono sostenere il disturbo e acquisire abilità per affrontare quelle difficoltà e quei pensieri che, forse, hanno dato il via alla depressione.

Un primissimo intervento mirerà alla riduzione dei sintomi acuti e alla formulazione, condivisa con la persona, del problema presentato.

Nello strutturare un percorso psicologico per affrontare questo disturbo, ci si inizia a focalizzare sui modi in cui la persona interpreta gli eventi che gli accadono, come si comporta a riguardo e come valuta se stessa. Si procede identificando insieme alla persona i pensieri e le convinzioni negative che ha su se stessa, sul mondo che la circonda e sul futuro, ricorrendo a specifiche tecniche cognitivo-comportamentali (psicoeducazione, metacognizione). Pensiero, emozione e comportamento sono legate. Il cambiamento nel modo di pensare influirà positivamente sul tono dell’umore che modificherà i comportamenti (riattivazione comportamentale) i quali, a loro volta, influiranno positivamente sui pensieri.

Al di fuori della stretta terapia, si dovrà inserire un percorso terapeutico rispetto alla quotidianità dell’individuo. Insieme struttureremo, in maniera graduale, specifici cambiamenti in direzione ribaltando la tendenza all’inattività e all’isolamento.

Come detto in precedenza, la depressione può spesso cronicizzare e può presentare ricadute: è necessario quindi apprendere strategie che impediscano di ricadere in una spirale depressogena.

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COS’É LA SPIRALE DELLA DEPRESSIONE E QUANTE “DEPRESSIONI” ESISTONO

Già nel lontano 2017, L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimò che nel 2020 la depressione sarebbe stata la causa principale di assenteismo dal lavoro e nel 2030 sarà la malattia più diffusa. Tutto questo ben prima che si sviluppò la pandemia del Covd-19. Infatti, da recenti stime, hanno visto crescere di 53 milioni di casi di depressione maggiore (+28%) e 76 milioni di casi in più di disturbi d’ansia (+26%) nel mondo direttamente collegati alla pandemia. Se questo non bastasse, oltre il 40% degli italiani ha riportato un peggioramento dei sintomi ansiosi e depressivi durante il lockdown. E questo non è tutto. Ci sono tanti fattori che aumentano il rischio di una sintomatologia depressiva: il genere, le condizioni economiche, il lavoro, lutti importanti o inaspettati, etc.

COS’È LA DEPRESSIONE

Il senso di depressione viene spesso descritto come vedere il mondo attraverso degli occhiali con le lenti scure. La depressione, in particolare, è un disturbo del tono dell’umore. Attenzione, dell’umore, non dell’emozione c’è differenza. L’umore è generalmente flessibile: quando viviamo eventi o situazioni piacevoli, questo flette verso l’alto, mentre flette verso il basso in situazioni tristi o spiacevoli. Chi soffre di depressione ha difficoltà a mantenere questa flessibilità. Il suo umore tende ad essere costantemente flesso verso il basso.  Spesso chi presenta i sintomi depressivi mostra frequenti e intensi stati di insoddisfazione e tristezza, malumore e con pensieri negativi circa sé stessi, gli altri e il proprio futuro.

Non c’è solo l’umore. Ci sono molte componenti della depressione diverse dalla sola flessione del tono dell’umore:

  • Conseguenze legate alla tristezza come solitudine ed apatia.
  • Un concetto di sé negativo associato a rimproveri e auto-colpa.
  • Desideri auto-punitivi, di fuga o di morire.
  • Cambiamenti dei propri ritmi biologici.
  • Cambiamento nel livello di attività.

Tra i disturbi depressivi più frequenti ci sono il disturbo depressivo maggiore, il disturbo depressivo persistente (distimia), il disturbo disforico premestruale e la depressione post-partum.

I SINTOMI DELLA DEPRESSIONE

I sintomi della depressione sono svariati e per facilitare la loro individuazione li raggruppo in:

  • I vissuti affettivi: generalmente chi soffre di depressione mostra un tono dell’umore basso, una marcata tristezza, angoscia, disperazione, insoddisfazione, senso di vuoto.
  • L’aspetto cognitivo dei pensieri: difficoltà nel prendere decisioni e nel risolvere i problemi, problemi di memoria, la ruminazione mentale (ovvero pensare continuamente al proprio malessere), autocritica svalutante, pensiero catastrofico, pensiero pessimista, pensieri di morte.
  • Anche molti comportamenti sono caratteristici: l’isolamento sociale, comportamenti passivi, lamentarsi senza mettersi nell’ottica del cambiamento, la riduzione dell’attività sessuale.
  • Infine anche l’aspetto fisico, fisiologico ne risente: perdita o aumento di peso, aumento o diminuzione del sonno (faticare ad addormentarsi o non sentirsi riposati al mattino), mal di testa, palpitazioni o tachicardia, dolori muscolari.

DECORSO DELLA DEPRESSIONE

Il decorso dei disturbi depressivi è estremamente vario. Come disco sempre, non è il disturbo che fa la persona ma la persona che fa il disturbo. Il decorso infatti può variare a seconda del quadro clinico individuale. Generalmente un episodio depressivo dura almeno 6 mesi. Nella maggior parte dei casi l’episodio tende ad avere un inizio ed una fine dopo il quale il funzionamento della persona ritorna ai livelli precedenti. Un 5-10% di casi diviene cronico. Una serie di circostanze che non permettono alla persona di tornare ad una fase premorbosa o di avere diversi episodi depressivi aumentano il rischio di un Disturbo Depressivo. La depressione maggiore è un disturbo caratterizzato da un decorso ricorrente nella maggior parte dei soggetti. 

In generale la depressione ha un andamento temporale, spesso ciclico e periodico. Gli episodi ricorrenti di sintomatologie depressive sono comuni e il rischio di ricaduta è alto, specialmente nei primi 6 mesi successivi alla guarigione.

E QUINDI É LA FINE? SI PUÒ USCIRE DALLA DEPRESSIONE?

La depressione è una situazione che non sempre si presenta in maniera chiara o si fa un intervento preventivo. Nonostante sia così diffusa, ancora c’è timore nell’affrontarla e c’è difficoltà nel chiedere aiuto. La terapia per la depressione, sia agli inizi che in una fase più cronica, deve essere altamente personalizzata.

Il percorso prevede un’iniziale fase di consapevolezza dei circoli viziosi e dei pensieri che mantengono e aggravano la malattia con interventi mirati a liberarsene gradualmente ed a riattivare comportamenti e modalità di pensiero più funzionali. Infine, uno degli aspetti critici della depressione è il suo alto tasso di ricadute. Per questo si prevede una particolare attenzione alla vulnerabilità alla ricaduta.

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PAURA DI GUIDARE: QUANDO L’ANSIA STA IN AUTOMOBILE

Paura dei ragni, dei clown, di volare con l’aereo o dell’altezza. Mentre queste sono delle paure gestibili, situazionali e che difficilmente possiamo trovare quotidianamente 365 giorni l’anno, altre fobie possono invece limitare la nostra quotidianità. Questa porta effetti negativi sia nell’ambito relazionale sia in quello economico. Una su tutte è la paura di guidare o amaxofobia. L’esperienza di disagio che si può provare nella guida può portare la persona alla rinuncia di opportunità lavorative, comportando una perdita economica significativa, di attività sociali o anche la rinuncia a svaghi e interessi.

PAURA DI GUIDARE: LE SITUAZIONI PIÚ COMUNI

L’amaxofobia si può manifestare nel momento esatto in cui si ha a che fare con il mezzo o nelle fantasie anticipatorie che le persone hanno. Bisogna tenere conto che la paura di guidare può avere diverse sfumature. Alcune persone, ad esempio, non riescono proprio a salire in auto, altre invece hanno timore a guidare in superstrada o autostrada, altre ancora possono aver paura di perdersi nel fare strade nuove, c’è chi non vuole guidare stando solo in macchina o ancora chi non vuole portare con sé altre persone per paura degli incidenti e far del male all’altro. Alcune delle paure più comuni sono:

  • Di perdere il controllo del proprio mezzo e causare un incidente.
  • Di guidare da soli.
  • Di guidare di notte o quando è buio.
  • In autostrada o su strade a scorrimento veloce.
  • Di guidare attraverso le gallerie o di valicare ponti, specialmente se alti.
  • Del traffico nel quale ci si può trovare bloccati o rallentati mentre si è alla guida.
  • Di allontanarsi troppo da casa.

POSSIBILI CAUSE

A volte la paura di guidare può semplicemente dipendere da una scarsa consuetudine a mettersi alla guida oppure dall’averla interrotta per molto tempo, percependo un disagio tollerabile.

In altre situazioni, dove l’evitamento e il disagio è maggiore la paura di guidare potrebbe manifestarsi a seguito di un evento traumatico (es. un incidente vissuto o visto, aver perduto una persona cara in seguito ad incidente, aver fatto un viaggio pericoloso, ecc.). In certi casi, pensieri intrusivi di poter causare incidenti o danni, può scatenare tutta una serie di comportamenti compulsivi volti all’avere un ipotetico controllo su tutto. Certo, può anche sembrare che questa paura si sia  sviluppata senza una causa apparente.

SEGNI E SINTOMI

Come ogni evento ansiogeno, anche la fobia della guida provoca vari sintomi, sia fisici che psicologici. Tra questi tachicardia, sudorazione, senso di svenimento o vertigine, nausea, dispnea, visione offuscata, confusione, paura di morire, svenire, perdere il controllo, impazzire.

Quando un soggetto ha sperimentato una forte ansia durante la guida, è comune che anche il solo pensiero di riprendere l’auto gli provochi altra ansia (anticipatoria), scatenando così un circolo vizioso e facendo sperimentare maggior disagio e paura nel caso dovesse guidare di nuovo. Proprio la presenza trasversale di insicurezza e scarsa fiducia nelle proprie capacità di controllo e autocontrollo può portare l’amaxofobico a sviluppare immagini mentali ed un’intensa ansia anticipatoria. Proprio queste immagini mentali scoraggiano i tentativi di affrontare questa paura perché possono essere catastrofiche e inibire anche il desiderio di superare questo problema, portando a ritenerlo irrisolvibile e a concentrarsi piuttosto sull’individuazione di strategie alternative che consentano di aggirare la necessità o il desiderio di mettersi al volante.

PERCORSO PSICOLOGICO PER AFFRONTARE LA PAURA DI GUIDARE

Come tutti i disturbi fobici ed ansiosi, la persona crede che evitare la gran parte degli stimoli ansiogeni possa essere d’aiuto nel trattare la paura. Assolutamente no, anzi, evitare gli stimoli senza strumenti adeguati per affrontarli non farà altro che rafforzare la paura e l’idea che “tanto non fa niente”. Nel percorso psicologico si procederà con un lavoro personalizzato e mirato di desensibilizzazione della paura, attraverso delle tecniche di rilassamento, e di esposizione graduale ai sintomi ansiogeni, sia in immaginazione che in vivo. Questo tipo di intervento serve per disapprendere tutti i meccanismi che mantengono viva la fobia. Inoltre è utile per modificare atteggiamenti e pensieri disfunzionali relativi al pericolo e aiutare il paziente ad avere una risposta non ansiosa e più funzionale rispetto alla guida.

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PAURA DEI CLOWN: PERCHÈ UN PERSONAGGIO DIVERTENTE RISULTA SPAVENTOSO

La coulrofobia (o paura dei clown) è un tipo di paura che rientra tra le fobie specifiche. Una fobia è una paura marcata nei confronti di un elemento specifico (oggetto, situazione, animale, luogo, ecc.) sproporzionata, sempre presente e spesso irrazionale rispetto alla minaccia.

DAL PERSONAGGIO DIVERTENTE ALLA PAURA DEI CLOWN

Si, è vero. Nei circhi e nella “terapia del sorriso” i clown sono percepiti come figure divertenti, buffe e allegre. Tuttavia, per alcuni, quei lineamenti e quel comportamento può risultare fonte di disagio. Non a caso, la paura suscitata dai clown è sfruttata ampiamente al cinema e nei libri. Da gli anni ’90 quando lo scrittore Stephen King gli ha dato forma in quello che è rimasto nella storia come uno dei più spaventosi capolavori dell’orrore: It. Difficile scordare il terrorizzante pagliaccio con i denti affilati come lame. Ma anche Jack in the box o il celebre Joker, uno dei principali antagonisti di Batman, sempre dipinto come un pagliaccio beffardo e spietato. Se ci pensate bene, anche nei Simpson Krusty il clown è un personaggio negativo, corrotto e alcolizzato.

LE RADICI PSICOLOGICHE DELLA COULROFOBIA

Possiamo ricondurre questa paura sproporzionata dei clown ad alcune caratteristiche.

Un primo elemento è la mimica facciale esasperata o mascherata dal trucco. Questa, in secondo luogo, non è in linea con il comportamento che il clown manifesta e che, infine, non lascia trasparire i veri sentimenti dei clown. Spesso le risate vengono suscitate quando al clown capitano si cose buffe ma negative (inciampa, cade, gli arriva una martellata in testa). In queste ed altre situazioni raramente la persona che interpreta il clown ride, ma il trucco lo farà sempre vedere sorridente. Questo in alcune persone può essere percepito come inquietante e minaccioso. Per motivi molto simili alcune persone potrebbero provare disagio davanti alle bambole in ceramica (in quest’ultimo caso, la paura è detta pediofobia) o alle zucche di Halloween.

Nella persona, non riuscendo a decodificare del tutto questo questi stimoli, subentra un senso di disorientamento. Chi soffre della fobia dei clown sa che si tratta di finzione, ma il pensiero si focalizza sui segnali di angoscia.

SINTOMI DELLA COULROFOBIA

I sintomi e la gravità della coulrofobia variano da persona a persona. Alcuni possono manifestare un semplice fastidio, diffidenza o disagio. disagio Altri invece possono manifestare sintomi fisici o veri e propri attacchi di panico:

  • Tachicardia.
  • Brividi o vampate di calore.
  • Nausea o vomito.
  • Mal di testa o emicrania.
  • Affanno o sensazione di soffocamento;
  • Senso di svenimento o vertigini.
  • Disorientamento e sensazione di “testa vuota”.
  • Senso di oppressione o di dolore al petto.
  • Aumento della tensione muscolare.
  • Secchezza delle fauci.
  • Inquietudine costante.

INTERVENTO PER LA PAURA DEI CLOWN

La coulrofobia può essere gestita con un percorso psicologico mirato ad affrontare gli stimoli ansiogeni, le manifestazioni che ne derivano ed i comportamenti messi in atto. Alcuni interventi tra i più efficaci sono le tecniche di rilassamento, la mindfullness, le strategie di coping od una ristrutturazione cognitiva.

Quest’interventi hanno l’obiettivo di indurre il paziente a riprendere il controllo dei suoi pensieri e strutturare comportamenti efficaci nell’affrontare la paura. È necessario intervenire sui pensieri ansiogeni e modificare il circolo vizioso del panico. Su questo tipo di fobia specifica può anche essere molto utile predisporre un percorso di desensibilizzazione sistemica e di esposizione controllata allo stimolo fobico.

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ANSIA SOCIALE, TIMIDEZZA O INTROVERSIONE: CHE DIFFERENZE?

Ciò che accomuna l’ansia sociale, la timidezza e l’introversione è un disagio in situazioni sociali e il desiderio di più disinvolti, svincolandosi dal giudizio o idea altrui. Ma gli aspetti che le differenziano riguardano la pervasività del disagio, la sua intensità e il grado di limitazione nella vita quotidiana.

Immaginate di trovarvi ad una festa di compleanno. C’è tanta gente e voi conoscete solo una manciata di questi. C’è chi balla, chi mangia, chi beve, chi parla. Ad un lato della stanza notate due persone in disparte: non parlano con nessuno, non ballano, rimangono appoggiate alla parete o sedute col bicchiere in mano. A prima vista, potreste pensare che quelle due persone siano molto simili, ma potrebbe non essere affatto così.

Il tratto dell’Introversione

L’introversione è un termine diventato di uso comune e per questo il suo significato è spesso frainteso. Questa è considerata come un tratto del nostro carattere, cioè una parte della personalità. Gli introversi sono portati a dirigere la propria attenzione soprattutto sul loro mondo interno (sensazioni, emozioni, pensieri). Ci può essere la tendenza, più o meno evidente, a preferire luoghi meno chiassosi, amicizie più selettive e il bisogno di preferire stare con se stessi che con altri. Se c’è un’interazione sociale, gli introversi sfruttano i momenti di riposo, prima o dopo, come occasione per ricaricarsi e ricentrarsi. Queste persone potrebbero aver bisogno solamente di più tempo per adattarsi ai contesti sociali o gestire un disagio in tali ambienti.

Spesso, questo disagio non dipende dall’introversione in sé, ma dal fatto che molti si sentano spinti ad emulare gli altri, anche a causa degli stereotipi sociali, col risultato di sentirsi sempre più a disagio.

Una grande con la timidezza e l’ansia sociale è che nell’introversione è presente la preferenza per situazioni meno “sociali” senza necessariamente presentare timore del giudizio dell’altro.

L’imbarazzo della Timidezza

La timidezza è legata a una eccessiva preoccupazione per ciò che pensano gli altri e all’idea, spesso infondata, che si verrà valutati negativamente. Questa può essere considerata come la difficoltà di rispondere in modo adeguato alle situazioni sociali: incontrare nuove persone, avviare una conversazione con loro, a creare amicizie o relazioni sentimentali. Solitamente, il timido teme che gli altri possano accorgersi del suo imbarazzo, così esercita su di sé un grande autocontrollo per evitare di svelare degli aspetti “negativi” di sé, ovvero l’ansia, la vulnerabilità, la bassa autostima. L’effetto, tuttavia, è spesso controproducente. Infatti l’autocontrollo rende meno spontaneo il comportamento e spesso i timori si auto avverano: il corpo mostra segni del disagio, la voce inizia a tremare, il volto si arrossa.

La timidezza è un fenomeno molto comune e piuttosto diffuso. Non è un disturbo o patologia ma se non vengono smontate le convinzioni erronee e la persona comincia ad evitare tutte le situazioni che possono creargli disagio rischia gettare le basi per l’ansia sociale.

L’imbarazzo è lo stato emotivo spesso associato e vissuto in seguito ad un’azione socialmente inaccettabile compiuta sotto gli occhi di terzi. Ha la funzione di segnalare l’infrazione reale o temuta di norme sociali. Questa è un’emozione esclusivamente sociale perché si manifesta soltanto in situazioni di interazione sociale.

Ansia o Fobia Sociale

Chi soffre di ansia (o fobia) sociale è travolto da un’apprensione maggiore e più acuta, rispetto alle altre due situazioni, quando affronta le situazioni sociali o anche solo al pensiero. Una prima differenza con la timidezza e l’introversione è che l’ansia sociale, probabilmente, porta a una sempre maggior compromissione della vita sociale e lavorativa. Se la situazione persiste e continua si potrebbe evolvere in un disturbo di Fobia Sociale. Una prima differenza, quindi, è lo sperimentare un malessere più intenso, più generalizzato e più continuo.

Per chi soffre di ansia sociale, trovarsi di fronte o mostrarsi ad un gruppo di persone è il problema principale. Il perfezionismo è un effetto collaterale di questo disagio e chi ne soffre spesso ha paura di fare danni, di dire la cosa sbagliata o di venire giudicato. Questo anche solo senza l’esperienza diretta ma basta anche immaginare la situazione.

Una grande differenza rispetto alle due precedenti è che soffrire di ansia sociale, pur potendo avere una potenziale predisposizione, non si nasce. Generalmente questa si sviluppa a partire dalle esperienze della vita.

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ANSIA PER TUTTO: IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA

Il Disturbo d’ansia generalizzata è caratterizzato da sintomi d’ansia e da uno stato di preoccupazione costante ed eccessiva, sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti, in diversi ambiti della propria vita.

Chi riporta di soffrire di ansia generalizzata vive un costante stato di preoccupazione per eventi o attività, quotidiane e non, che teme di non poter gestire o che percepisce come imminenti e minacciose. Ad esempio, una persona che soffre d’ansia generalizzata potrebbe temere in modo esagerato il terremoto pur vivendo in una zona non sismica. Quando una preoccupazione particolare (“Arriverò sicuramente in ritardo, iniziamo bene!”) viene smentita (arrivo in orario), ecco che subito se ne manifesta un’altra che intrappola la persona con altri pensieri.

Sintomi del Disturbo d’Ansia Generalizzata

Generalmente i disturbi d’ansia si manifestano con sintomatologie simili. Tuttavia, oltre questi, sono tipici anche altri sintomi che si presentano:

  • Irrequietezza o sentirsi “con i nervi a fior di pelle”.
  • Affaticabilità.
  • Irritabilità.
  • Difficoltà di concentrazione o vuoti di memoria.
  • Tensione muscolare.
  •  Sudorazione.
  • Vampate.
  • Batticuore.
  • Sonno irrequieto, insoddisfacente o difficoltà ad addormentarsi.

Il tentativo che la persona ansiosa mette in atto per ridurre, controllare, le preoccupazioni e l’ansia sono l’evitamento e la ricerca di rassicurazione. Queste due strategie, però, anziché ridurre gli stati emotivi negativi  contribuiscono mantenerli e rinforzarli.

Il ruolo del rimuginio

Il rimuginio, cioè il continuo pensare agli eventi negativi che potrebbero capitare, con l’obiettivo di prevederli, prevenirli ed affrontarli, è uno degli elementi centrali. Questo tipo di pensiero riguarda la preoccupazione verso eventi futuri, percepiti come minacciosi. Le persone con ansia generalizzata percepiscono il rimuginio come incontrollabile. Hanno difficoltà ad interromperlo nonostante questo gli crei una sensazione di malessere. Tuttavia questi pensieri vengono utilizzati dalla persona ansiosa come un’arma contro i suoi sintomi: dato che la preoccupazione è sempre presente nella mente, rimuginando l’individuo ha l’impressione di starsi a preparare ad affrontare la situazione e di starsi rassicurando. In realtà però è proprio l’atto del rimuginare ad accrescere ulteriormente i sintomi ansiosi, creando un vero e proprio circolo vizioso che si autoalimenta.

L’ansioso quindi rimugina con degli “scopi”, attribuisce cioè al suo rimuginare delle finalità:

  • Per tranquillizzarsi > “Ci penso tanto, ma sono meno agitato”.
  • Soluzione dei problemi > “Ci penso tanto per trovare una soluzione”.
  •  Distrazione > “Mi serve per non pensare ad altre cose peggiori”.
  • Preparazione al peggio > “Così non cado dal pero e ne soffrirò di meno”.
  • Senza scopo > “Non servirà a nulla ma non riesco a non farlo”.

Intervento per l’Ansia Generalizzata

L’intervento psicologico agisce cercando di rendere il soggetto consapevole dei propri pensieri disfunzionali e riducendone nel concreto lo stato di preoccupazione. Inoltre si ha l’obiettivo di migliorare le proprie capacità a tollerare l’incertezza e sull’analisi del piano di realtà. Durante la terapia ci si occuperà di circoscrivere e affrontare il rimuginio, e favorire gli stili di pensiero maggiormente funzionali, come il problem solving. Utile sarà anche confrontarsi sui vantaggi e costi delle strategie di controllo per poi apprendere nuove abilità per sostenere e regolare le emozioni negative. Infine sarà utile esporre la persona in modo graduale alle situazioni temute e preoccupanti, provando a testare e disconfermare i suoi pensieri negativi.

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ANSIA DA MALATTIA (IPOCONDRIA): COS’É L’ANSIA PER LA SALUTE

Il termine ipocondria è stato dal 2014 sostituito con il più preciso termine disturbo d’ansia per la salute. In ogni caso, rappresenta una condizione di disagio caratterizzata da una preoccupazione eccessiva e infondata riguardo la propria salute. Questo fa si che qualsiasi sintomo fisico, anche lieve, viene interpretato come segno di patologia. Non voglio dire che queste persone si immaginano dei sintomi fisici. Tutt’altro. Ma queste sensazioni possono derivare da molteplici fattori: lo stress, il sovraccarico lavorativo, cambiamenti nelle abitudini quotidiane. Chi soffre di ansia per la salute, tuttavia, tende ad amplificare queste sensazioni ed a interpretarle erroneamente come segno o sintomo di una grave malattia. Nella maggior parte dei casi, ciò che maggiormente spaventa non è l’idea della morte, quanto l’immaginare le conseguenze della malattia in termini di disabilità e sofferenza.

 

Sintomi dell’Ipocondria o Ansia per la salute

Per fare diagnosi di disturbo d’ansia per la salute è necessario la presenza di alcuni tratti specifici:

  • Preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia.
  • I sintomi somatici non sono presenti o, se presenti, sono di lieve intensità.
  • La persona sperimenta un elevato livello di ansia riguardante la salute e un alto livello d’allarme su questo tema.
  • La persona attua comportamenti eccessivi correlati alla salute come controllare di continuo il proprio corpo alla ricerca di segni di malattia. Inoltre presenta un evitamento che potrebbe danneggiare la sua vita quotidiana (evita visite mediche e ospedali).

Caratteristiche dell’Ansia per la Salute

Si possono distinguere due tipi di comportamenti tipici che si presentano qualora si sperimenta quest’ansia:

  • Eccessiva richiesta di assistenza medica.
  • Evitamento dell’assistenza medica.

L’ansia per la salute, infatti, può portare una persona a sperimentare un disagio al punto da voler controllare ogni minimo sintomo fisiologico, con la speranza di prevenire eventuali conseguenze. Viceversa tale preoccupazione può venire volontariamente evitata, per timore di scoprire una grave malattia.

È tipico delle persone che sperimentano questo disturbo rivolgersi sempre a centri per la salute, risultando sani a tutti i controlli o con valori non preoccupanti. Alcuni medici possono reagire male a causa dell’insistenza nelle richieste dei pazienti creando incomprensioni, attriti e sfiducia nei confronti del medico stesso. Viceversa i pazienti possono aumentare il loro livello di ansia se i medici sono interessati al loro caso e vogliono approfondire le visite.

Per gestire la propria ansia per la salute spesso si mettono in atto dei comportamenti che non fanno altro che aumentare il proprio stato ansiogeno. Tra i più frequenti vi sono: il controllare costantemente il proprio corpo per valutare la presenza di eventuali anomalie, il cercare informazioni su internet o libri, il richiedere continuamente visite mediche specialistiche che, nonostante diano un esito negativo continuano ad essere programmate, il chiedere consigli e rassicurazioni ad amici e familiari, l’evitare situazioni che potrebbero generare una malattia.

 

L’Intervento sull’Ipocondira è possibile?

Chi soffre di ipocondria interpreta erroneamente le sue sensazioni corporee e ve ne attribuisce una pericolosità esagerata rispetto alla realtà. L’intervento nella terapia psicologica è volto a mettere in discussione l’idea che i sintomi sperimentati siano generati da una grave malattia, costruendo un’ipotesi alternativa. Se c’è difficoltà nell’affidarsi ad un percorso di cambiamento e miglioramento è utile agire con un intervento psicoeducativo. 

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FOBIA SPECIFICA, ARACNOFOBIA: COS’É LA PAURA DEI RAGNI

La paura dei ragni, conosciuta anche come aracnofobia, è una delle fobie più comuni: si stima, infatti, che la paura dei ragni sia la paura agli animali più diffusa in assoluto, insieme a quella di topi e serpenti.

Paura dei ragni: i sintomi

Per quanto riguarda i sintomi, esiste un’ampia variabilità. Non è necessario che sia presente l’elemento fobico ma anche la sola immagine mentale o alcuni stimoli a essa associati sono sufficienti per scatenare la risposta di ansia e paura. Anche solo l’idea che in una stanza ci possa essere un aracnide può impedire al soggetto di entrarvi senza un preventivo controllo da parte di altre persone. Tra i principali sintomi dell’aracnofobia, così come di altre fobie, troviamo:

  • Tachicardia
  • Sudorazione
  • Nausea
  • Tremore
  • Disturbi gastrointestinali
  • Capogiri o vertigini
  • Respiro affannoso o iperventilazione
  • Attacchi di panico

L’ansia per i ragni, come per molte altre ansie, può essere anche anticipatoria: la persona prova ansia solamente prevedendo la situazione temuta ed è per questo che attua dei comportamenti di evitamento. Se poi il soggetto percepisce l’impossibilità di allontanarsi o di evitare la situazione è possibile che l’ansia sia tale da provocare un attacco di panico anche di fronte ad un piccolo ed innocuo ragno.

Questa condizione, in realtà, interferisce fortemente con le normali attività quotidiane, l’aracnofobico può avere difficoltà ad entrare in un capanno degli attrezzi, scendere in cantina, andare in campeggio o fare una passeggiata nel parco.

Implicazione nella fobia dei ragni

Un implicazione interessante ed utile da tenere a mente è che più alti livelli di fobia era riportata dai soggetti e più alte erano le stime di maggiori dimensioni dei ragni, di fatto inesatte rispetto alle dimensioni reali. Quindi quanto più intensa era l’emozione di paura riferita tanto maggiore è la dimensione del ragno stimata dalla stessa persona. Chissà se questo fenomeno sia generalizzabile ad altre forme di fobie specifiche.

Gli interventi

L’esposizione graduata agli stimoli ansiogeni è considerata la principale modalità di trattamento per le fobie specifiche. Oggi un valido aiuto arriva anche dalla realtà virtuale che permette di simulare situazioni in cui ci si trova alla presenza dei tanto temuti ragni. Oltre all’esposizione sarà utile scoprire cosa la persona pensi nei momenti di maggior timore e modificare i pensieri che mantengono la sua paura. Spesso è proprio la scarsa conoscenza dell’aracnide ad intensificare la paura. 

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ANSIA SOCIALE: IL CONTATTO CON GLI ALTRI FA PAURA, CHE FARE?

La fobia sociale (o disturbo d’ansia sociale) è un disturbo psicologico caratterizzato da un’intensa e persistente paura di vivere situazioni sociali per il timore del giudizio altrui, di apparire incapaci o ridicoli e di agire in modo inopportuno. Bada bene: una certa agitazione ed apprensione in situazioni sociali è del tutto comune. Tuttavia, chi sperimenta fobia sociale presenta così tanta ansia che evita la maggior parte delle situazioni sociali o vi si espone con grande sofferenza.
Nella fobia sociale la persona teme che le proprie prestazioni e comportamenti lo possano esporre a valutazioni negative da parte degli altri. Per “prestazioni” e “comportamenti” mi riferisco ad una qualsiasi attività quotidiana osservabile, come ad esempio: mangiare o bere in pubblico, usare il telefono.

Riconoscere l’ansia sociale: i sintomi

Due aspetti cruciali alla base di questo timore sono il forte desiderio di dare una buona impressione agli altri e contemporaneamente una forte incertezza rispetto al raggiungimento di questo scopo. I sintomi sperimentati sono quelli dell’ansia e soprattutto quelle della vergogna:

  • Aumento del battito cardiaco.
  • Rossore del volto.
  • Eccessiva sudorazione.
  • Secchezza delle fauci.
  • Difficoltà a deglutire.
  • Contrazioni muscolari.
  • Tremori.
  • Malessere gastrointestinale.

Queste manifestazioni di disagio e i tentativi di controllarle innescano un circolo vizioso. Infatti, si alimenta la sensazione di malessere e fanno apparire ancora più goffi e impacciati. Questo aumenta ancor di più la sensazione di essere incapaci di relazionarsi. Per proteggersi dal vissuto di disvalore dell’ansia sociale, si prova a chiudersi ulteriormente e ci si comporta in modo diffidente.

Le persone con fobia sociale presentano allarme e disagio in situazioni le più disparate: parlare in pubblico, effettuare delle attività sotto lo sguardo altrui (per esempio suonare uno strumento musicale, mangiare insieme ad altre persone, prendere la parola in una riunione), utilizzare un bagno pubblico, conoscere nuove persone, esprimere la propria opinione in gruppo. Ovviamente, queste persone cercano in tutti i modi evitare tali situazioni o, se vi sono costrette, sopportano tali situazioni con un carico di disagio molto elevato.

Un’altra caratteristica tipica di questo disturbo è una marcata ansia che precede le situazioni temute e che prende il nome di ansia anticipatoria. Così, già prima di affrontare una situazione sociale, le persone cominciano a preoccuparsi per tale evento.

Come spesso accade nelle fobie, chi prova tale disagio riconosce, quando è lontana dalle situazioni temute, che le proprie paure solo irragionevoli, eccessive, arrivano così a colpevolizzarsi ulteriormente.

L’intervento

L’intervento che utilizzo è centrato sul “qui ed ora”, sulla persona a 360° nei vari contesti sociali. Punta da un lato ad individuare e modificare i pensieri disfunzionali, dall’altro a offrire alla persona migliori abilità nel affrontare le situazioni temute. Rompere il circolo vizioso dell’ansia: uscire, esporsi ad un possibile giudizio degli altri, facendo così scattare la sensazione di perdere il controllo, che fa aumentare i sintomi e così via.

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PAURA DI PARLARE IN PUBBLICO: COME CALMARSI PRIMA DI PARLARE?

Parlare in pubblico e ritrovarsi al centro dell’attenzione può essere complicato, generare paura perché significa correre il rischio di commettere errori sotto gli occhi di tutti pensando, poi, di essere giudicati negativamente. Circa il 73% della popolazione generale ha paura di parlare in pubblico.  Secondo un’altra analisi è emerso che tra i timori più ricorrenti ci sono: le altezze (57%), parlare in pubblico (56%) e i serpenti (52%). Sorprendente. Parlare in pubblico è tra due eventi che significano pericolo di morte.

Il timore o l’insicurezza di parlare in pubblico può essere una vera e propria fobia sociale, detta, per l’esattezza, Glossofobia. Molte persone riescono a gestire questa paura e controllare la situazione, ma in altri questa è così grande da causare problemi a scuola, in università, al lavoro e in contesti sociali. Come abbiamo detto non è una rarità. Alcuni personaggi noti e che hanno dominato le scene ne hanno sofferto: Barbara Streisand, Pavarotti, Adele e Fiorello. Queste persone che soffrono di fobia sociale (completamente diversa dall’introversione) tendono a distorcere la valutazione delle loro performance. Alcuni sintomi comuni si riferiscono al quadro ansioso e sono:

  • Aumento della sudorazione.
  • Bocca asciutta.
  • Aumento della frequenza cardiaca.
  • Difficoltà a respirare.
  • Tensione muscolare.
  • Mal di testa.
  • Bisogno di urinare.
  • Balbettio.

 

Primi step per superare la paura di parlare in pubblico

  • Sii consapevole dei sintomi che potresti sperimentare: la consapevolezza di quello che ti sta succedendo è il primo passo. Cerca il controllo della situazione e soprattutto i pensieri dannosi, sostituendoli con pensieri positivi. I pensieri negativi si riconoscono perché spesso contengono parole come “sempre”, “mai”, “tutti”, “nessuno”. Rompere il rapporto causa effetto tra pensiero-sintomo-pensiero come ad esempio:

“Tutti ci sono riusciti, sicuramente sarò io a sbagliare” – sudorazione/tachicardia – “Mi sto agitando perché è così”.

  • Lavora sulla respirazione: Fai ampi respiri, prima di parlare, anche ad occhi chiusi se preferisci maggior isolamento: inspira contando lentamente fino a 5, poi espira contando fino a 5. L’iperventilazione non permette bene all’ossigeno di entrare nelle cellule ed aumenta anche altri sintomi che però verranno associati ai pensieri negativi. Una buona respirazione si tradurrà in un costante abbassamento di altre iperattivazioni ed anche in una voce più forte e sicura. Quando parli, respira con il naso anziché con la bocca. Questo diminuirà il problema di lingua o bocca secca. Altrimenti puoi portare con te la classica bottiglietta d’acqua.
  • Parla ad alta voce con te stesso: prima di affrontare un pubblico, parlare ad alta voce. Questo può aumentare le prestazioni della persona: aiuta a recuperare i ricordi, migliora il ragionamento longitudinale, migliora la concentrazione e dà fiducia in se stessi.
  • Allenati sul contenuto: la preparazione è il vero scoglio. Insieme al punto precedente, padroneggia l’argomento, tieni presente il ragionamento trasversale della presentazione, prova con amici, familiari o animali domestici. Crea una struttura del discorso: introduzione, argomento 1, argomento 2, etc, conclusione. Almeno fino a quando non avrai preso un po’ più di confidenza nel parlare in pubblico resta su una strada che conosci, poi potrai sbizzarrirti ed arricchire il tuo discorso con digressioni, aneddoti e curiosità.
  • Evita la memorizzazione: tolte le poesie, imparare a memoria interi discorsi è molto rischioso. Non essere tenuto in ostaggio dal voler memorizzare tutto. Primo, è una grossa fatica che ti puoi risparmiare; secondo, anche se pensi di essere più sicuro, rischi di perdere il senso di appartenenza con ciò che dici e alla prima parola che manca, panico. Memorizza i concetti o la scaletta, non interi discorsi. Più sai esporre lo stesso concetto con termini diversi e più sarai in grado di riprendere il filo in ogni momento.
  • Parla lentamente: quando siamo ansiosi tendiamo a fare le cose più velocemente, anche parlare. Quindi, esercitati a parlare lentamente. Il pensiero della velocità (“prima finisco e meglio è”) dovrà essere sostituito con uno sul piano di realtà e di contenuto (“il tempo è quello, concentriamoci sulla qualità”).
  • Una persona alla volta: ciò che c’è di veramente terrorizzante nel parlare in pubblico è…il pubblico che ti fissa, in silenzio, in attesa di ascoltare e riflettere su ciò che dici. Parla ad una persona per volta, guardandola negli occhi e non vagare per la stanza.

Le persone che stabiliscono standard irraggiungibili o perfetti aumentano la loro ansia. Ricorda dunque di puntare a fare del tuo meglio invece di cercare di essere perfetto. E per migliorare non basta un discorso ma varie esperienze.

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PERCHÉ ABBIAMO PAURA? A COSA SERVE LA PAURA?

A cosa serve e perché abbiamo paura? La risposta è più complessa di quanto si possa pensare anche se tutti abbiamo sperimentato questa emozione.

 

Che cos’è e a cosa serve la Paura

La paura è una reazione biologica evolutiva che serve a proteggerci dai pericoli esterni e interni. Sembra assurdo ma la paura, generalmente, è un’ottima alleata. Questa potente emozione è in grado mobilitare tutto il corpo per superare la situazione che spaventa. Anche se tutti noi proviamo questa emozione, molti non hanno ben chiara la sua funzione. A cosa serve la paura? Cosa ne sarebbe di noi se non provassimo paura? La nostra vita sarebbe più spensierata?
La parola “paura” viene utilizzata per indicare stati diversi:

  • L’emozione che proviamo quando pensiamo ad un possibile “pericolo” dell’immediato futuro.
  • Lo stato emotivo di tensione di cui apparentemente non riusciamo ad identificarne le cause.
  • Nel linguaggio comune, con qualcosa di più leggero, del tipo “Ho paura che stia per piovere”.

Il problema nasce perché non sempre siamo in grado di distinguere i pericoli “oggettivi” da quelli percepiti.

 

Dove risiede la paura?

La risposta alla paura inizia in una regione del cervello chiamata amigdala. Tutte le volte che ci troviamo di fronte ad uno stimolo minaccioso da qui parte una complessa reazione a catena. Vengono rilasciati ormoni dello stress, si attiva il sistema nervoso simpatico coinvolto in quelle funzioni conosciute come di «attacco o fuga», le pupille si dilatano, il respiro accelera, aumenta la frequenza cardiaca, la pressione, la concentrazione è tutta sul pericolo che si sta vivendo in quel momento mentre tutto il resto viene accantonato. Tutto il corpo si prepara ad affrontare la minaccia. Parallelamente parte anche una valutazione della minaccia.

La reazione di fuga o di lotta è stata fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano. Quando questo viveva in mezzo alla natura chi aveva una rapida reazione in presenza di un pericolo riusciva a sopravvivere. Ma l’anticamera di entrambe le reazioni è la paralisi. Questo meccanismo cognitivo e neurofisiologico precede normalmente l’azione, acutizza la vista e l’udito. Più estremo, ma più comune nel mondo animale, è il faint ovvero la “finta morte”, una condizione di irrigidimento totale del corpo. Nell’essere umano il faint si manifesta attraverso la riduzione del tono muscolare e il distacco dall’esperienza e dalla realtà (sintomi dissociativi).

 

Cosa ci fa paura?

Come ho detto, la risposta di attacco-fuga era utile nelle condizioni di vita dei nostri antenati, dove la vita era colma di pericoli. Se si era a pesca di salmoni e tra i rami che vengono mossi sentiamo un mugolio, dovevamo essere pronti alla reazione verso un potenziale orso. Ad oggi imbatterci in un orso, un leone o un puma è molto meno probabile. Esistono alcune paure che noi tutti possiamo provare o abbiamo provato in relazione a diverse situazioni giudicate, per qualche motivo, pericolose. Spesso ad esempio, l’ignoto e l’incertezza, sono dei fattori che suscitano o accentuano la paura perché non sappiamo ciò che ci aspetta.

Di fronte all’ignoto, insieme al pensiero di fuga, può esservi anche il desiderio di capire cosa sta succedendo, affrontando anziché evitando la situazione temuta. In generale, le cause della paura dipendono in grande misura dal significato che noi attribuiamo ad una determinata situazione. Ciò che fa paura a una persona potrebbe non farla ad un’altra, oppure, una stessa paura può variare da un momento all’altro della vita di un individuo.

Questa emozione, tuttavia, genera seri problemi quando si attiva troppo facilmente o nel momento sbagliato. In questi casi si può immaginare di essere dotati di un meccanismo di allarme troppo sensibile, in grado di accendersi anche quando non ce n’è davvero bisogno. Ciò accade ad esempio nelle fobie specifiche, paure intense, durature e sproporzionate rispetto alla minaccia reale. Il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) prevede 5 categorie di fobie a seconda della tipologia dello stimolo fobico:

  • Animali (es: ragni, insetti, cani).
  • Ambienti naturali (es: altezze, temporali, acqua).
  • Sangue-iniezioni-ferite (es: aghi, procedure mediche invasive).
  • Situazioni (es: aeroplani, ascensori, aerei).
  • Altro.

Il confine tra paura e fobia risiede proprio nella funzione adattiva della risposta, quando l’emozione ed i pensieri e comportamenti generati scattano in modo disfunzionale.

 

Ansia e paura: differenze e somiglianze

Ansia e paura spesso vengono confuse tra di loro ma i motivi per cui si manifestano sono diversi. Generalmente possiamo dire che l’emozione della paura l’abbiamo quando siamo spaventati da qualcosa di reale (vedere il cane, i clown, dare l’esame). Nel momento in cui pianifichiamo senza avere una certezza oggettiva, allora parleremo di ansia. L’ansia si innesca quando si effettuano previsioni future negative e catastrofiche su eventi percepiti come importanti o pericolosi. In più l’ansia potrebbe presentarsi anche senza un motivo apparente, ma nell’incertezza che si potrà provare ansia in futuro, innescando un circolo.

Come per la paura, anche nell’ansia ci sono una serie di modificazioni fisiologiche simili: tachicardia, sudorazione, giramenti di testa, vertigini, senso di confusione, mancanza di respiro, appannamento della vista, senso di irrealtà, paura d’impazzire o di perdere il controllo. Insomma, un’esperienza molto intensa che può spaventare molto.

Terapia psicologica della paura

Ci sono vari metodi per fronteggiare la paura. Intanto bisogna vedere se è una paura specifica, delimitata o generica, legata ad un trauma oppure se è di tipo esistenziale. Prima viene affrontata e prima e con meno tempo generalmente si riesce a risolvere: si fa un incidente in macchina e la miglior cosa, recuperate le forze, è rimettersi alla guida piano piano. In caso di una paura più radicata, un’insicurezza di fondo, una mancanza di autostima, il percorso psicologico partirà dalle origini e dai meccanismi di questa paura.

La terapia cognitivo-comportamentale ha un’elevata efficacia nel trattamento delle fobie e nella gestione delle emozioni, inclusa la paura. Gli strumenti più utili a riguardo sono l’ABC e il Disputing. Con l’ABC vengono analizzate le situazioni (A) in cui si attivano automaticamente determinati pensieri (B) che ci portano a provare specifiche emozioni (C) e comportamenti. Individuati i pensieri disfunzionali, con il disputing mettiamo in discussione tutto ciò che pensiamo o facciamo in automatico. Dopo questa fase di lavoro sulle credenze e pensieri, è bene lavorare sul piano comportamentale attraverso l’ esposizione allo stimolo ritenuto pericoloso dal paziente.

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COSA FARE SE SI HA UN ATTACCO DI PANICO?

L’attacco di panico rappresenta per molti un condizionamento profondo della propria vita quotidiana che, se non gestito, provoca conseguenze molto gravi sia psicologiche che fisiche. Il primo attacco è descritto, da chi lo sperimenta, come un’esperienza che segna e condiziona la vita. Questo perché si manifesta senza preavviso, genera un effetto traumatico, fa associare alla paura di morire, alla paura di perdere il controllo e il timore di impazzire.

 

Cosa fare se si è soli durante un attacco di panico

  • La respirazione: l’iperventilazione , cioè il respirare molto velocemente o molto profondamente rispetto alle necessità del corpo, produce uno squilibrio nel rapporto ossigeno ed anidride carbonica. Questa è una normale risposta fisiologica quando si ha una forte preoccupazione. I sintomi che ne derivano possono essere spiacevoli ma non sono dannosi e scompaiono quando si smette di iperventilare. Tuttavia, amplifica e fa continuare la sensazione di panico. Una tecnica utile è la Tecnica del Respiro Lento che va usata ai primi segnali di ansia o panico. Si interrompe quello che si sta facendo, si trattiene il fiato per 10 secondi poi si espira. Subito dopo si ispira per 3 secondi e si espira per altri 3 secondi. Ogni minuto si trattiene il fiato per 10 secondi e si continua il ciclo.
  • Riconoscere i sintomi: in situazione adrenaliniche, di sport, attività fisica o sociali che possono far aumentare i battiti, la respirazione o la sudorazione, riconoscere i motivi di tali manifestazioni. Questo aiuta ad evitare di confondere un eventuale attacco d’ansia o di panico con altri segnali.
  • Rallentare i pensieri: le conseguenze dell’iperventilazione o dei sintomi somatici lascia briglia sciolta al pensiero. Chi soffre di attacchi d’ansia o panico spesso fa fatica a considerare le cause reali di quel suo malessere, cioè l’ansia e l’iperventilazione. Attribuisce il suo status a fattori esterni, situazionali nei quali è iniziato l’attacco. Per condizionamento, la persona passa da un rapporto di associazione ad uno di causa-effetto. In questi casi è utile ripetere a se stessi “Mi sto calmando” insieme alla convinzione che il pensiero è catastrofico e non si è lucidi nel pensiero.
  • Radicarsi nel presente: spesso il pensiero vaga verso delle conseguenze nell’immediato futuro. Un modo per rallentarlo è concentrarsi nel momento presente, notare e descrivere ad alta voce oggetti o situazioni neutre intorno a noi. Si può procedere con l’invalidazione del pensiero catastrofico “Vedi, ancora non è successo nulla perché dovrebbe succedere tra poco?”.
  • Chiedere aiuto: in caso di estrema difficoltà in cui l’attacco non si calma, telefonare ad una persona cara che è informata della vostra difficoltà è fondamentale.

 

Cosa fare se una persona ha un attacco di panico

  • Offrire il proprio aiuto: in genere, a meno che non si tratti del primo attacco, le persone sanno cosa può aiutare a farle stare meglio (rimuovere un eventuale causa della paura, far spostare la persona).
  • Capire cosa sta succedendo: riconoscere quali sintomi ha dell’attacco di panico: ad esempio portare la persona in un luogo aperto e arieggiato, non toccarla troppo senza che sia disposta a farlo, aprire le finestre se siete in un luogo chiuso.
  • Incoraggiare il controllo della respirazione.
  • Tono della voce, rassicurante ma deciso: parlare in modo sicuro, senza creare pressione con frasi come “smettila”, “non è niente stai esagerando”, “mettici un po’ di buona volontà”. Meglio qualcosa come “so che ti senti male, ma passerà” oppure “sono qui per aiutarti”, cercando anche di far diminuire l’inadeguatezza. Le minacce emotive sono tanto reali quanto quelle per il corpo. Ecco perché è importante prendere sul serio le paure della persona che abbiamo davanti.
  • In caso anche di lieve dubbio tra un attacco di cuore o di una malattia e un attacco di panico, è sempre meglio cercare immediatamente un soccorso medico.

 

Conclusioni

Tutte queste strategie da quelle corporee, a quelle immaginative e quelle cognitive si devono intendere come da utilizzare in situazioni di emergenza. Se si hanno avuto o si soffre di attacchi d’ansia, o si ha la sensazione di un imminente attacco è necessario rivolgersi ad uno psicologo. Il malessere che si prova non deve essere negato, sottovalutato o far si che comandi la tua vita.